Ancora oggi raggiungere il titolo di “dottore” è l'ambizione di ogni genitore, che magari ha svolto un lavoro pesante per tutta la vita e sogna il successo per i propri figli. Questo evidenzia una carenza di carattere culturale che non fa altro che incrementare la percentuale di disoccupazione nel nostro paese. Svilire il lavoro manuale, avendo l'ambizione di trovare elevamento sociale nel titolo di studio, accompagna tutt'oggi il ceto medio che vede nella laurea un passe-partout.
Nel mercato attuale, dove contano molto di più le competenze dei titoli di studio posseduti, il mito della laurea ha contribuito a scalfire il lavoro manuale (quello più pratico), non garantendo però un degno sostituto. Sì, perché molte volte i giovani diplomati scelgono un corso di studi senza sbocchi professionali, solo perché devono laurearsi. Ma questa scelta comporta, in ogni caso, due conseguenze: si ritarda di alcuni anni l'ingresso nel mercato del lavoro (quindi a parità di età un diplomato ha più esperienza di un laureato, e tutte le aziende richiedono esperienza) e alla fine degli studi il mercato è nuovamente mutato, e la figura che potremmo ricoprire è ormai superata (e che facciamo? Ci rimettiamo a studiare?).
Ma ogni professione è degna di rispetto, l'ingegnere come il muratore. Se dobbiamo tutti laurearci, troveremo il muratore che non saprà preparare il cemento ma sarà in grado di parlarci di scissione nucleare. Mestieri come il muratore, il panettiere o l'idraulico sono poco considerati, ma sono comunque prodotto interno lordo e fanno girare l'economia. Non bisogna quindi valorizzare ciò che si è, ma quanto si è utili.
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