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Rat Race e preoccupazioni sulla carriera

 Molte professioni sembrano essere caratterizzate da quella che viene definita come rat race (una concorrenza esasperata), caratterizzata dal fatto che le persone lavorano molto più duramente e con orari più lunghi per mantenersi a livello degli altri (e magari un po' avanti) di quanto apparentemente abbia senso fare secondo un qualsiasi calcolo razionale di costi è benefici sociali. Ad esempio, gli avvocati, i consulenti aziendali, i docenti universitari spesso lavorano 70-80 ore alla settimana, sacrificando la loro vita sociale, le loro famiglie e pure la loro salute per il lavoro. Le soddisfazioni, in questi tipi di impiego, sono elevate ma sembra improbabile che ogni ora extra impiegata nel proprio lavoro permetta di conseguire guadagni che superano i costi. Fenomeni come questo sorgono nel caso di studenti che studiano “troppo” per l'ammissione alle università più prestigiose del Giappone e alle grandes écoles in Francia – gli studenti starebbero tutti meglio se ci fosse meno competizione.
Perché persiste un modello comportamentale così inefficiente? Perché qualcuno – ad esempio un'impresa – non ferma questa folle corsa? Fermarla significherebbe aumentare l'efficienza e presumibilmente l'impresa potrebbe appropriarsi di alcuni dei guadagni conseguenti, magari dovendo pagare meno per attirare e trattenere in servizio le persone.
Una possibile spiegazione cerca di mettere in evidenza problemi informativi. E' razionale che un'impresa consideri gli alti livelli di performance passata e corrente come indicatori di alti livelli di performance anche nel futuro se questa dipende in parte da certe caratteristiche personali permanenti ma non osservabili che possiamo chiamare “abilità”. La performance in ogni periodo dipende anche dallo sforzo impiegato e da fattori casuali ma le imprese non sono in grado di dire se un'alta performance rifletta abilità, sforzo o fortuna. Il risultato è costituito da un ulteriore incentivo a lavorare sodo perché una performance più alta oggi significa una maggiore stima da parte dell'azienda delle proprie abilità e quindi maggiori aspettative e un più elevato salario nel futuro.
E' interessante notare che questi incentivi a lavorare “troppo” sono più forti all'inizio della carriera per due ragioni. Primo, quello è il momento di maggiore incertezza sulle effettive capacità del lavoratore ed è quindi il momento in cui egli ha la più grossa opportunità di influenzare le percezioni del datore di lavoro. Quello è anche il momento in cui è più lungo il cammino della carriera ancora da percorrere e il beneficio di una più alta percezione delle proprie capacità è quindi maggiore. Più avanti, quando la reputazione di una persona si è stabilizzata attraverso osservazioni ripetute delle performance, sarà più difficile cambiare la percezione delle proprie capacità e il godimento del beneficio di una migliore reputazione sarà più limitato nel tempo.
Le imprese conoscono bene tali incentivi e al momento di valutare le abilità dovrebbero valutare il fatto che i giovani lavorano più duramente all'inizio della carriera. Anche se a livello individuale lavorare più duramente significa una maggiore stima e valutazioni più favorevoli delle proprie abilità, lo sforzo aggiuntivo non influenza sistematicamente la percezione delle abilità del lavoratore da parte dell'impresa. Se alcuni individui uscissero da questa corsa a ostacoli, riducendo il loro impegno, un livello inferiore di sforzo individuale non verrebbe osservato. Tuttavia, il conseguente livello inferiore di performance verrebbe allora interpretato come prova di bassa abilità, non come il risultato della scelta individuale di applicare uno sforzo lavorativo più basso e più efficiente. Nessuno trova perciò conveniente fermarsi, anche se il risultato è inefficiente per la società.
(Fonte: B.Holmstrom, Managerial Incentive Problems)

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